La Corte di Cassazione, ribaltando la decisione di merito, ha riconosciuto che non viola l’ordine pubblico ai sensi degli artt. 64 e 67 della L. 218/1995 la decisione straniera che dispone il rimborso di un mutuo contratto proprio per giocare al casinò, e pertanto tale sentenza può essere riconosciuta e dichiarata esecutiva in Italia (nonostante una simile domanda, se proposta dinanzi al giudice italiano, sarebbe invece stata respinta ex art. 1933 c.c.).

 


Cass. civ. Sez. I, Sent., 17-01-2013, n. 1163


REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCCIOLI Maria Gabriella – Presidente –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – rel. Consigliere –

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

PARADISE ENTERPRISE LTD elettivamente domiciliata in Roma, Via A. Riboty, n. 28,
nello studio dell’avv. PAVONI Domenico, che la rappresenta e difende unitamente
all’avv. Luigi Belvederi, giusta procura speciale autenticata in data 9 gennaio
2009 e munita di Apostilla il successivo 15 gennaio 2009;

– ricorrente –

contro

F.S. elettivamente domiciliato in Roma, Via Regina Margherita, n. 157, nello
studio dell’avv. MARCUCCI Maria Cristina, che lo rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del controricorso;

– controricorrente –

nonchè sul ricorso incidentale proposto da:

F.S. come sopra rappresentato;

– ricorrente incidentale –

contro

PARADISE ENTERPRISE LTD;

– intimata –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma, n. 1965, depositata in data
12 maggio 2008;

sentita la relazione svolta all’udienza pubblica del 16 ottobre 2012 dal
consigliere Dott. Pietro Campanile;

sentito per la ricorrente principale l’avv. Pavoni;

sentito per il F. l’avv. Marcucci;

udite le richieste del Procuratore Generale, in persona del sostituto Dott.
Costantino Fucci, il quale ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

Svolgimento del processo

1 – La Paradise Enterprise Ltd, con sede in (OMISSIS) (d’ora in avanti per
brevità, Paradise) chiedeva, con ricorso depositato in data 12 settembre 2006,
che la Corte di appello di Roma dichiarasse l’efficacia, ai sensi della L. n.
218 del 1995, artt. 64 e 67, della sentenza emessa in data 5 marzo 2004 dalla
Corte Suprema del Commonwealth delle Bahamas nei confronti di F.S., con la quale
costui era stato condannato al pagamento della somma di 50.000 dollari delle
Bahamas, per aver ottenuto, sottoscrivendo le relative ricognizioni di debito,
un fido di pari importo dalla direzione del casinò delle Bahamas, allo scopo di
ottenere delle fiches da utilizzare per partecipare al gioco d’azzardo, ivi
considerato legale.

1.1 – Si costituiva il convenuto, eccependo l’insussistenza dei presupposti per
la delibazione, e sostenendo, in particolare, che gli effetti di tale pronuncia
erano contrari all’ordine pubblico italiano.

1.2 – La corte di appello adita, con la sentenza indicata in epigrafe,
accogliendo la fondamentale eccezione del convenuto, affermava che la domanda
non poteva essere accolta, essendo gli effetti della delibazione contrari
all’ordine pubblico italiano. Il debito fatto valere dalla Paradise derivava,
come era pacifico fra le parti, dal gioco d’azzardo, che nel nostro ordinamento
è vietato, tanto che il suo esercizio e la stessa partecipazione ad esso sono
vietati ai sensi degli artt. 718 e 720 c.p., e che non è ammessa azione, ai
sensi dell’art. 1933 c.c., per il relativo pagamento.

Veniva altresì richiamato il principio affermato da questa Suprema Corte con la
decisione n. 4209 del 1992, secondo cui la previsione di cui all’art. 1933 c.c.
è estensibile ai contratti collegati al gioco, come i mutui, le dazioni di
danaro o di fiches, quando concorre un diretto interesse del mutuante a favorire
la partecipazione al gioco del mutuatario: in proposito si affermava che il
mutuo concesso al F. era funzionalmente connesso all’attuazione del giuoco
d’azzardo.

Si aggiungeva, con riferimento alla denegatici actionis di cui all’art. 1933
c.c., che il richiamo a tale disposizione da parte della ricorrente era
fuorviante, tanto più che nel caso di specie si trattava proprio di una domanda
di pagamento fondata su un mutuo correlato al gioco d’azzardo.

1.2 – Per la cassazione di tale decisione la Paradise ha proposto ricorso
affidato a due motivi, illustrati da memoria.

Il F. resiste con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale
condizionato.

Motivi della decisione

2 – Con il primo motivo del ricorso principale si deduce violazione e falsa
applicazione della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 64, lett. g): la corte di
appello avrebbe preso in considerazione una nozione di “ordine pubblico” non
corrispondente ai principi generali del nostro ordinamento e, soprattutto,
all’ordine pubblico internazionale, il cui più ristretto contenuto, quando il
rapporto è regolato da una legge straniera, assume significativo rilievo.

Sotto il primo profilo vengono menzionate le norme, ancorchè speciali, che
disciplinano varie lotterie, ovvero prevedono l’istituzione, nel territorio
nazionale, di determinati Casinò, come quelli di Venezia, San Remo e Campione
d’Italia. Si aggiunge che la giurisprudenza più recente, analizzando la
legislazione italiana alla luce del principi comunitari, ne ha ribadito la
compatibilità, ponendo in evidenza non tanto lo scopo di limitare la propensione
al gioco dei cittadini (contraddetta da una serie di provvedimenti intesi
piuttosto a favorirne l’espansione), quanto quello di contrastare infiltrazioni
criminali: tale finalità giustificherebbe le restrizioni di carattere normativo
ai principi di libero stabilimento e di libera prestazione dei servizi. Il F.,
contraendo il debito in uno Stato dove il gioco d’azzardo è considerato legale,
ha assunto una normale obbligazione il cui assolvimento è garantito
dall’ordinamento: il rifiuto di exequatur, per nulla attinente al pericolo di
infiltrazioni criminali, avrebbe la conseguenza di consentire – così ledendo il
relativo principio – al debitore di sottrarsi alla responsabilità patrimoniale.

2.1 – Quanto al secondo aspetto, precisato che in molti Paesi il gioco d’azzardo
è consentito, si pone in evidenza come, ai fini della delibazione di decisioni
straniere, il rispetto dell’ordine pubblico va verificato in relazione agli
effetti concreti dell’applicazione della legge straniera: nel caso in esame la
conseguenza del diniego di exequatur si risolverebbe piuttosto nel vulnus
arrecato al principio, universalmente riconosciuto, relativo al pagamento delle
obbligazioni validamente contratte, soprattutto con riferimento alla
legislazione vigente nel luogo dove esse siano sorte, laddove il principio della
soluti retentio, vigente nel nostro ordinamento, dimostrerebbe l’inesistenza di
un totale disfavore per le obbligazioni contratte nell’ambito di un debito di
gioco.

2.2 – La censura è fondata.

Il dato di partenza, costituito dalla nozione di ordine pubblico da adottare ai
fini dell’applicazione della L. n. 218 del 1995, art. 64, lett. G), non può non
risentire dell’evoluzione al riguardo maturata in ambito giurisprudenziale e
dottrinale, nel senso che, all’abbandono della tradizionale verifica in merito
alla corrispondenza della decisione straniera al quadro desumibile dalle norme
imperative interne, si è nel tempo affermata l’esigenza di valutare queste
ultime nell’ambito del sistema assiologico posto in primo luogo dalla
Costituzione e, più in generale, anche dal complesso delle fonti di diritto
internazionale, con particolare riferimento ai principi consolidatisi
nell’ambito dell’Unione Europea (cfr. Cass., 6 dicembre 2002, n. 17349, in cui
si riafferma l’esigenza di desumere “i principi fondamentali e caratterizzanti
l’atteggiamento etico giuridico dell’ordinamento di un determinato periodo
storico” sulla base dell’ordine pubblico internazionale).

Tale concezione, come già affermato da questa Corte (Cass., 11 novembre 2000, n.
14662; Cass., 26 novembre 2004, n. 22332), si fonda sull’attuale, maggiore
partecipazione dei singoli Stati alla vita della comunità delle genti, la quale
sempre meglio è capace di esprimere principi generalmente condivisi e così di
sottrarre la nozione di ordine pubblico internazionale sia all’eccessiva
indeterminazione sia al legame con ordinamenti singoli, consentendo di
rinvenirne i parametri di conformità in principi corrispondenti ad esigenze
comuni ai diversi ordinamenti statali.

2.3 – Non è sufficiente, per altro, che la norma imperativa venga traguardata al
lume del complesso dei principi fondamentali come testè delineati, dovendosi
accentrare l’esame (a differenza di quanto avveniva in forza del previgente art.
797 c.p.c., n. 7) esclusivamente sugli effetti concreti del riconoscimento, come
emerge chiaramente dal tenore letterale del richiamato della L. n. 218 del 1995,
art. 64, lett. G), non dissimile, del resto, dalla previsione contenuta nel
precedente art. 16 circa “gli effetti” dell’applicazione della legge straniera.

2.4 – Passando all’esame del caso in esame, deve rilevarsi che la decisione
emessa dalla Corte Suprema della Bahamas non riguarda un debito di gioco, vale a
dire il pagamento della posta derivante dalla relativa perdita, bensì un mutuo
contratto per poter giocare presso il locale casinò, ivi pienamente legale.

2.5 – La corte territoriale ha affermato che il debito di cui è causa, com’è
pacifico, deriva da gioco di azzardo e il gioco di azzardo è vietato
dall’ordinamento italiano, che, agli artt. 718 e 720 c.p., punisce tanto
l’esercizio quanto la partecipazione al gioco d’azzardo ed espressamente non
ammette azione per il pagamento di debiti di gioco, solo escludendo la
ripetibilità di quanto spontaneamente pagato in adempimento di un debito di
gioco. Aggiunge la corte d’appello che apparterrebbe al complesso delle regole
inderogabili del nostro ordinamento la previsione del gioco d’azzardo come
reato, della quale la disposizione dell’art. 1933 c.c., costituisce il
necessario corollario, attesa l’incompatibilità fra la prevista illiceità e la
possibilità di agire per ottenere il pagamento del debito derivante dal reato.

2.6 – Appare opportuno evidenziare, a tale riguardo, come la corte d’appello
abbia operato una vera e propria traslazione dalla normativa penale alla
disciplina codicistica, ravvisando in quest’ultima una sorta di dipendenza dalla
prima, della quale sarebbe un “necessario corollario”.

Tale assunto non appare condivisibile: basta porre mente alla formulazione
dell’art. 1933 c.c., con particolare riferimento all’esclusione dell’azione per
il pagamento di un debito di gioco e di scommessa “anche se si tratta di gioco o
di scommessa non proibiti”, per rendersi conto del diverso ambito di operatività
della disposizione in esame rispetto alle norme che prevedono come reato la
partecipazione al gioco d’azzardo.

Lo stesso meccanismo della soluti retentio, per altro, rinviando alla figura
dell’obbligazione naturale, relativa a “quanto è stato spontaneamente prestato
in esecuzione di doveri morali o sociali”, evidentemente in forza di una
ritenuta giusta e tipica (art. 2034 c.c., comma 2) causa di trasferimento, non
consente di sostenere con tranquillante certezza che la denegatio actionis
prevista dall’art. 1933 c.c., comma 1, sia espressione di un principio di ordine
pubblico e non costituisca, piuttosto, una scelta, sia pure di compromesso, del
legislatore fondata sulla c.d. “neutralità del gioco (che si porrebbe, secondo
una felice formula, “al di là della distinzione di bene e di male”), nonchè
sulla risalente concezione del debito di gioco come dovere morale e sociale.

2.6 – Di certo, il richiamo alla decisione di questa Corte n. 4209 del 1992 non
coglie nel segno, riguardando la stessa esclusivamente, nell’ambito di un
giudizio svoltosi nel Paese (e senza alcun accenno a problemi di ordine pubblico
interno o internazionale), il tema dell’applicabilità del divieto di azione nei
confronti di terzi che, nella consapevolezza della destinazione al gioco,
avevano consegnato delle somme a un soggetto in un casinò di (OMISSIS).

Non si tratta, infatti, di constatare la diversità – non di rado riscontrabile
nei giudizi di delibazione – della disciplina posta alla base della sentenza
straniera rispetto al nostro ordinamento (Cass., 25 luglio 2006, n. 16978), ma,
come già accennato, di verificare se gli effetti della sua applicazione superino
il vaglio di liceità alla luce dei principi di ordine pubblico, come sopra già
delineati.

2.7 – Deve altresì rilevarsi che, qualora l’esame fosse incentrato unicamente
sulla divergenza delle norme poste alla base della delibanda decisione rispetto
al disposto dell’art. 1933 c.c., comma 1, dovrebbe tenersi conto, da un lato,
della concreta portata dell’efficacia del riconoscimento, consistente nella
riaffermazione del principio, universalmente condiviso, della responsabilità
patrimoniale del debitore, e, dall’altro, della già evidenziata difficoltà di
configurare la denegatio actionis come espressione di un aspetto fondamentale,
anche alla luce del complesso delle regole affermatesi in campo internazionale
e, in particolare, comunitario, della nostra civiltà giuridica.

2.8 – L’esame deve essere quindi esteso alla reale portata, nel nostro
ordinamento, delle norme imperative attinenti alla fattispecie in esame, quali
richiamate anche nell’impugnata decisione, vale a dire gli artt. 718 e 720 c.p.,
che sanzionano tanto l’esercizio quanto la partecipazione al gioco d’azzardo.

A tal fine non può prescindersi da una valutazione complessiva della
legislazione in materia, come interpretata dalla giurisprudenza di questa Corte
e in sede comunitaria.

Deve innanzitutto rilevarsi che l’esame delle norme che si sono succedute nel
tempo in materia di gioco e scommessa non induce a ritenere che nel nostro
ordinamento tali fenomeni siano considerati con disfavore.

Avendo probabilmente le esigenze erariali fatto premio su sempre più flebili
istanze morali, deve infatti constatarsi come l’area del gioco autorizzato (non
dissimile, nella sua essenza ontologica, a quello d’azzardo “proibito”) sia
venuta man mano ad estendersi, dall’istituzione per legge di alcuni casinò nel
territorio nazionale, alla creazione di un numero ormai indefinito di lotterie e
concorsi a premi, basati prevalentemente sulla sorte, fino al D.L. n. 223 del
2006, art. 38, comma 2, successivamente convertito con modificazioni e
integrazioni nella legge n. 248/2006, che, con la modifica dell’art. 110, co. 6,
T.U.L.P.S., ha consentito la proliferazione dei punti di accettazione delle
scommesse.

2.9 – La Corte Europea di giustizia della Comunità Europea, con la decisione n.
243 del 6 novembre 2003, ha affermato, in relazione alla L. n. 401 del 1989,
art. 4, che sanziona l’esercizio abusivo di giochi e scommesse, che “laddove le
autorità di uno Stato membro inducano ed incoraggino i consumatori a partecipare
alle lotterie, ai giuochi d’azzardo o alle scommesse affinchè il pubblico erario
ne benefici sul piano finanziario, le autorità di tale Stato non possono
invocare l’ordine pubblico sociale con riguardo alla necessità di ridurre le
occasioni di giuoco per giustificare provvedimenti come quelli oggetto della
causa principale”.

Le Sezioni unite penali di questa Corte, sempre con riferimento al reato di cui
alla L. n. 401 del 1989, art. 4, comma 1, dopo aver proceduto a una ricognizione
della legislazione italiana in materia, volta “a sottoporre a controllo
preventivo e successivo la gestione delle lotterie, delle scommesse e dei
giuochi d’azzardo”, hanno rilevato che “la stessa si propone non già di
contenere la domanda e l’offerta del giuoco, ma di canalizzarla in circuiti
controllabili al fine di prevenirne la possibile degenerazione criminale, sicchè
tale legislazione risulta compatibile col diritto comunitario”.

Successivamente la Corte di Giustizia della Comunità Europea, con la sentenza
Placanica, emessa il 6 marzo 2007, ha giudicato incompatibili con il diritto
comunitario le sanzioni penali italiane, applicate alla raccolta di scommesse da
parte di intermediari che operano per conto di società straniere, atteso che
“uno Stato membro non può applicare una sanzione penale per il mancato
espletamento di una formalità amministrativa, allorchè l’adempimento di tale
formalità viene rifiutato o è reso impossibile dallo Stato membro interessato in
violazione del diritto comunitario”.

Questa Corte ha quindi affermato che “l’attività organizzata per l’accettazione
e la raccolta di scommesse, anche per via telematica, se operata per conto di
società quotate estere aventi sede in altro Stato membro da soggetti esclusi dal
rilascio delle autorizzazioni di cui all’art. 88 t.u.l.p.s. per il solo fatto
che la raccolta viene effettuata per conto di società con azionariato anonimo, e
che non hanno potuto partecipare per tale ragione alle gare per l’attribuzione
delle licenze sebbene in possesso delle necessarie autorizzazioni per la
gestione organizzata di scommesse in altro Stato membro, non può integrare il
reato di cui alla L. 13 febbraio 1989, n. 401, art. 4, e successive
modificazioni che, conseguentemente, va disapplicato, in quanto il connesso
regime concessorio – autorizzatorio della gestione delle attività di giochi e
scommesse contrasta con i principi comunitari di libertà di stabilimento e di
prestazione di servizi di cui agli artt. 43 e 49 del grattato Ce, così come
interpretati dalla Corte di giustizia Ce (Cass. pen. 28 marzo 2007, n. 16928).

Ancora più di recente, la Corte di Giustizia CE, Grande sezione, con la
decisione n. 42 in data 8 settembre 2009, emessa a seguito di domanda di
pronuncia pregiudiziale di Tribunale portoghese di prima istanza di Porto,
premesso che l’art. 49 CE impone l’eliminazione di qualsiasi restrizione alla
libera prestazione di servizi, anche qualora essa si applichi indistintamente ai
prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri, quando sia tale da
vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività del prestatore
stabilito in un altro Stato membro, ove fornisce legittimamente servizi
analoghi, e che della libertà di prestazione di servizi beneficia tanto il
prestatore quanto il destinatario dei servizi, ha affermato che, a fronte di una
restrizione alla libera prestazione di servizi garantita dall’art. 49 CE,
occorre esaminare in qual misura la restrizione stessa possa essere ammessa
sulla base delle misure derogatorie espressamente previste dagli artt. 45 CE e
46 CE, applicabili in materia a norma dell’art. 55 CE, ovvero possa essere
giustificata, conformemente alla giurisprudenza della Corte, da motivi
imperativi di interesse generale.

Richiamati i precedenti della stessa Corte, e rilevato che la disciplina dei
giochi d’azzardo rientra nei settori in cui sussistono tra gli Stati membri
divergenze considerevoli di ordine morale, religioso e culturale, si è affermato
che spetta ad ogni singolo Stato membro valutare, in tali settori, alla luce
della propria scala dei valori, le esigenze che la tutela degli interessi di cui
trattasi implica. Si è quindi affermato che “gli Stati membri sono liberi di
fissare gli obiettivi della loro politica in materia di giochi d’azzardo e,
eventualmente, di definire con precisione il livello di protezione perseguito”,
precisandosi, tuttavia, che “le restrizioni che essi impongono devono soddisfare
le condizioni che risultano dalla giurisprudenza della Corte per quanto riguarda
la loro proporzionalità”. Si è quindi osservato, sulla base delle deduzioni del
governo portoghese, che “la lotta alla criminalità può costituire un motivo
imperativo di interesse generale che può giustificare restrizioni nei confronti
degli operatori autorizzati a proporre servizi nel settore del gioco d’azzardo.
Infatti, tenuto conto della rilevanza delle somme che essi possono raccogliere e
delle vincite che possono offrire ai giocatori, tali giochi comportano rischi
elevati di reati e di frodi”, riconoscendosi che un’autorizzazione limitata dei
giochi in un ambito esclusivo presenta il vantaggio di incanalare la gestione
dei giochi medesimi in un circuito controllato e di prevenire il rischio che
tale gestione sia diretta a scopi fraudolenti e criminosi”.

2.10 – Il quadro che ne emerge, pur tenendosi conto delle differenze fra il
gioco praticabile in un casinò e le recenti forme affermatesi attraverso la
diffusione dei sistemi telematici, è che, tanto in ambito nazionale, quanto in
quello comunitario, non esiste un disfavore nei confronti del gioco d’azzardo in
quanto tale, ma soltanto nella misura in cui esso, sfuggendo al controllo degli
organismi statuali, può costituire un serio pericolo per infiltrazioni
criminali, e per tutte le pericolose conseguenze ad esse collegate.

Rimanendo nell’area del gioco autorizzato, in quanto gestito direttamente dallo
Stato o da concessionari, non solo risultano elise le ragioni di sicurezza
sociale sopra indicate, ma debbono trovare applicazione le ordinarie norme poste
a tutela dell’esercizio dell’impresa e, per quanto qui interessa, delle ragioni
creditorie che, sorte in un contesto di ordinaria liceità, non possono essere
disattese, anche quando poste alla base di una decisione straniera, essendo
peraltro sorrette da fondamentali e condivisi principi, quali la libertà dei
mercati e la responsabilità patrimoniale del debitore.

2.11 – Non può negarsi che la società ricorrente svolga attività imprenditoriale
considerata regolare non solo dalle leggi del proprio Paese, ma, come si è
visto, anche in base ai principi vigenti in campo internazionale, in cui le
restrizioni, ove ammesse, debbono trovare una rigorosa giustificazione, nel
rispetto del principio di proporzionalità. Del resto, anche in Italia, laddove
esercitata legalmente in virtù di una specifica disposizione di legge, la
gestione di una casa da gioco “rappresenta normalmente attività d’impresa”
(Cass., Sez. un, 6 giugno 1994, n. 5492), ragion per cui è evidentemente a
quest’ultima ipotesi – vale a dire a un’obbligazione scaturita in un contesto di
piena legalità – che avrebbe dovuto rapportarsi la vicenda in esame. Anche sotto
tale profilo appare inadeguata l’analisi compiuta dalla corte territoriale, che
avrebbe dovuto considerare, come effetto del riconoscimento della sentenza, la
possibilità di realizzazione di un credito sorto regolarmente, senza alcuna
implicazione di fenomeni criminali, laddove la valorizzazione del “motivo” del
finanziamento, se da un lato nello stesso ravvisa, forse in maniera impropria,
un mutuo di scopo, dall’altro certamente perviene al diniego di delibazione
sulla base di una eccessiva valorizzazione, nella sostanza, della disposizione
contenuta nell’art. 1993 c.c. della cui inadeguatezza ad esprimere un principio
di ordine pubblico si è già detto.

2.12 – Per le esposte considerazioni – dovendosi ritenere assorbita la seconda
censura, attinente in maniera specifica al nesso fra il finanziamento e il gioco
da praticarsi nel Casinò, il ricorso principale deve essere accolto.

3. Con il ricorso incidentale si deduce, “in via strettamente subordinata”, la
nullità della decisione in merito “alla prospettata violazione della regola del
contraddittorio, atteso che non è stato concesso un termine a comparire al
convenuto idoneo ad apprestare la propria difesa”.

La censura è inammissibile sotto vari profili, in quanto, oltre ad essere
generica, non essendo indicati i termini che risulterebbero inosservati, non
richiama in alcun modo – così disattendendo il principio di autosufficienza del
ricorso – le modalità con le quali sarebbero state prospettate, nel giudizio di
merito, eventuali “violazioni del contraddittorio”, laddove la sentenza
impugnata da atto delle difese svolte dal convenuto, tutte inerenti al merito
della vicenda, senza per altro che risulti come alla fissazione di un termine a
comparire (per altro non meglio specificato) inidoneo (vale a dire inferiore a
quello previsto dalla norma), abbia fatto seguito, onde impedire la sanatoria
delle relativa nullità (Cass., 2 luglio 2004, n. 12129), la richiesta di
fissazione di nuova udienza nel rispetto dei termini.

4 – La sentenza impugnata, che non risulta essersi ispirata ai “principi sopra
enunciati già affermati nella recente sentenza n. 16511/2012 di questa Corte, in
relazione all’esame del ricorso principale, deve essere cassata, con rinvio alla
Corte di appello di Roma, che, in diversa composizione, ne farà applicazione,
provvedendo, altresì, al regolamento delle spese processuali relative al
presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbito il secondo;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in
relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello
di Roma, in diversa composizione.